domeniche

È domenica ?
È domenica ! Annusa l'alba mentre parliamo a casa,
assapora un'abbondante colazione, è un giorno di festa!
Non dimentichiamolo o meglio ricordiamolo! Ci stiamo preparando per un grande giorno, il grande giorno!
Ascolta un tassista scontroso che si lamenta del mondo perché non va bene,
distraiti da questa conversazione, come da qualsiasi discussione,
sali i gradini, entra nell'edificio e lasciati assorbire.
Respira, ritorna in vita come una pianta che per troppo tempo è stata priva di acqua e luce... Metti radici.
Pregare.
Pregate! Consigliate e informatevi! Ascolta te stesso, amore! Ascoltarsi a vicenda, amato! Divertirsi, assentarsi da sé,
sentirsi a casa, in terre sempre sconosciute.
Sentirsi completamente, interamente, intensamente amati...
Chiedersi cosa merita questo... Sentirsi sussultare.
Ascoltare te stesso significa la fine dell'eternità.
Deo Gratias! Lamento della fine di questa avventura che contiene tutte le avventure.
Ritrovare il mondo dopo averlo dimenticato, balbettante e caotico.
Trova la folla, i rumori, il disordine del mondo... tutto ciò che non è Lui.
Santifica il pranzo come se Lui dovesse sedersi lì con noi.
Assapora un dolce pisolino dove i sogni portano la tua mente in una terra sconosciuta e paradisiaca.
Svegliarsi, nebbioso, di umore disparato, alzarsi con difficoltà.
Rielaborare i fili di sé stessi e degli altri.
Ricucendo sempre la tua vita. Soprattutto quello che verrà. Inginocchiatevi, di traverso, cercate di stare in preghiera.
Sognare per catturare l'inimmaginabile, il senso che dà senso al vuoto.
Trova mille scuse per scappare, ascoltale tutte una per una, prestando loro particolare attenzione.
Credere che la verità possa essere esercitata diversamente.
Cercando di riscoprire l'essenza di ciò che riempiva le ore del mattino.
Essendo domenica pomeriggio...
è già domenica?
Dove è finita la magia?
Annoiato da pensieri inutili sperando che il tempo passi più velocemente.
Sentirti chiamare da lontano: “Dove sei?
» Paura, rabbrividire, tremare, piangere, rabbrividire all'eco terribile...
Ricorda... Non temere più.
Non avere mai più paura. Sognare che sia domenica mattina...
Allucinarsi andando all'appuntamento e dichiarargli sottovoce: “Sono qui!
» Sognando che sia domenica mattina per riconnettersi con il meraviglioso.

La preghiera, ogni mattina nel mondo.

La preghiera del mattino brilla quando il corpo è lento a distendersi per onorare il nuovo giorno. La mano rigira le coperte, chiamata ad attendere la rivoluzione del giorno per ritrovare una utilità. Respinti, accartocciati, si afflosciano, rovesciati sul letto quando il corpo si erge nello splendore del giorno nascente. Attimo eterno che si riproduce finché la vita scorre nelle vene e fornisce questo respiro la cui assenza fa rima con morte. Il corpo si muove e abbraccia il buio per scivolare sul materasso e lasciare che i piedi tocchino terra. Questo terreno non traballa? L'abitudine fa oscurare la stanza negandole il suo mistero. La mano trova i pantaloni e il maglione che vestiranno il corpo goffo per riprendere il movimento quando si sarà abituato alla quiete della notte. All'improvviso lo spazio ha volumi definiti e precisi con cui è meglio non confrontarsi. L'oscurità veglia su di lui per non perdere le sue fortificazioni e spera di riconquistare terreno nella sua lotta contro la luce del giorno e contro l'acuità visiva che lentamente si adatta alla mancanza di luce.

Il corridoio continua. Ti permette di andare verso la più grande avventura della giornata. Pochi passi e il corridoio finisce. Il bagno. Un po' di luce. Molto poco. Devi svegliarti, ma non svegliare nessuno. Questo incontro ritorna ogni mattina in giro per il mondo, intimo, senza alcuno spettacolo. Il corpo scopre l'alba del giorno, lascia la notte e il suo oceano di incoscienza per bagnarsi nella nuova fonte.

Infine, la sala di preghiera. La piccola luce che scorre e rivela l'icona del trittico, una Vergine col Bambino, circondata dagli arcangeli Michele e Gabriele. Una luce morbida come il sole del Mediterraneo al tramonto. La discesa in ginocchio sull'inginocchiatoio rivela il momento della verità. Le ginocchia scricchiolano e implorano pietà. La forza muscolare impiegata per scendere sul cuscino usurato posto sul legno dell'inginocchiatoio permette ai membri di familiarizzare con questa nuova posizione. Slouch pur mantenendo la dignità richiesta dalla preghiera. Lascia vagare il tuo sguardo sull'altare composito. Osserva la luce legnosa della lampada sull'icona incrinata. Osserva il volto di Cristo in questo dipinto del XIX secolo e il suo dito che indica discretamente il suo cuore misericordioso. Riconoscere la Trinità di Andrei Rublev. Pensa al genio di Tarkovskij e a tutti gli sciocchi in Cristo. Lascia che la tua mente vaghi come in un romanzo di Antoine Blondin. Rivedere questo contratto firmato male, il caos del lavoro e dei rapporti umani. Cercando di ignorare quelle ginocchia scricchiolanti che implorano conforto. Dimentica quella telefonata in cui ogni parola suonava come un colpo di martello. Lasciatevi sopraffare da qualche nota di disperazione per la vita dopo quella orribile giornata del giorno prima in cui tutto il lavoro di diverse settimane era stato ridotto a nulla. Rimpiangendo questa stanchezza che non finisce mai e che non vede l'ora di essere spazzata via da una vacanza che non appare all'orizzonte... Quanti pensieri girano e girano nel cranio umano che non può smettere di agitare e di blandire le sue idee, i suoi concetti, questo modo del mondo, i giorni passati, quelli futuri? Che meraviglia che questi sensi, tutte queste impressioni visive o tattili o sonore o gustative o olfattive ritornino e formino la memoria, dove risiede lo spirito. Che poesia!

I pensieri cancellano ogni dolore alle ginocchia o l'artrosi che si attacca lì come una conchiglia alla roccia. Ma, dopo la tempesta dei ricordi e delle speranze, arriva il momento della speranza e del ricordo. Trabocca di ricordi e di speranze per cento cubiti, in profondità, in lunghezza, in larghezza e in altezza. A dire il vero, è molto difficile dire quanto li superi, perché non c'è niente con cui confrontarli. L'anima prova un'ondata di shock all'idea di questo confronto. Niente può essere paragonato alla speranza e al ricordo. Sarebbe come paragonare il cielo alla terra. Non sarebbe appropriato. Come possono le persone che non credono vivere così, lasciando fuori la loro anima? Come possono ricoprirli di tanti artifici da non farli più risuonare abbastanza forte da svegliarli? Questo va oltre la comprensione.

L'orazione vaglia e vaglia le prime idee. Quelli che risuonano e scendono in una caverna senza fondo. Quelli che continuano a risuonare quando non li sentiamo più. Idee dall'oltretomba che modificano la vita quotidiana, che la influenzano e la approfondiscono. In quale tempo e spazio si esprime la vita? Ci crediamo qui ed è lì. Lo consideriamo distante, assorbito nella teoria, e la pratica vince il voto abbracciando pensieri e azioni. Siamo assenti a noi stessi. Così spesso. In un modo così significativo. Lasciamoci in pace. E, se ci riusciamo, se ci lasciamo assorbire da quest’alba che calpesta e geme, che partorisce il giorno e la vita, l’amore arriva senza preavviso e ci avvolge e ci abbraccia. È il frutto della preghiera. C'è un momento provocato che ci aspetta nostro malgrado. Da questo momento nessuno torna più uguale. Un momento dal quale non si torna mai veramente. La bellezza di questo corpo a corpo da cui solo l’amore esce vittorioso ordina il mondo. Vorremmo quindi evitarlo, perché non c'è tempo, c'è tanto da fare, i secondi rimbalzano tra loro, il mondo ci comanda e noi siamo vittime della nostra struttura fatiscente.

Anche a volte, quando i pensieri si dissipano, l'attesa ci porta alla disperazione. L'appuntamento è mancato. Un partecipante viene tenuto in attesa. Eppure la mente lo richiede. Aspettiamo e diventiamo impazienti. Verremmo a guardare l'ora. Battiamo i piedi. Fino al momento in cui ci rendiamo conto che non è il posto giusto, che abbiamo sbagliato, che siamo andati fuori strada. Per esperienza dovremmo sapere che se l'appuntamento non avviene, la colpa non è mai Sua, ma nostra. Non ci siamo resi disponibili. L'unico momento della nostra vita in cui dobbiamo essere assenti per partecipare.

Mai la creatura si è rivelata tanto creatura. Tutti i punti deboli visualizzati. Tutte le fragilità esposte. Niente più protegge, perché niente potrà offuscare il momento. Il giorno che scivola via e si confonde con la luce della notte. Le ombre furtive che scivolano sul volto della Vergine. La spada di San Michele che brilla pronta a servire. Lo zertsilo dell'Arcangelo Gabriele dove si riflette Cristo, indicando la via sempre da venire, da imitare. Tutti questi pensieri, queste emozioni, questi sentimenti si nutrono e si alimentano a vicenda, consapevoli della loro importanza. Nessun ordine li governa. L'immensità di ciò che rivelano e la piccolezza del loro contenitore spaventano, ma anche affascinano. Tutto quello che è stato detto, quello che verrà detto, quello che non è stato detto, quello che si sarebbe potuto dire, viene concentrato ed estratto per essere ridotto al nulla. La preghiera è appena iniziata. Lei si annuncia. Gli occhi si chiudono. Cerchiamo di entrare in noi stessi. C’è un santuario lì che è preoccupante. Troveremo quello che stiamo cercando? “Signore, nel silenzio di quest'alba, vengo a chiederti pace, saggezza e forza...” Devi venire a cercare nulla per trovare lì ogni cosa nuova. Le parole improvvisamente angosciano. Non sono più all’altezza del compito. Inizia la preghiera. Spegne tutto ciò che non è lei, il silenzio. La profondità del silenzio. L'intensità abissale del silenzio. Il silenzio che tutto completa nella sua presenza. Il silenzio che regna per il suo padrone: l'amore. Poi comincia la preghiera, quando l'amore si dispiega e riempie ogni vena, ogni organo, ogni fibra dell'essere per stabilire la precedenza del Creatore sulla creatura. Nient'altro esiste. Il cuore si inondò di gioia. Nient'altro può esistere, perché tutto è incongruo rispetto a questo momento, che non è né un sentimento, né un'emozione, né un pensiero. L'universo diminuisce e si accorcia. C'è un momento che non esiste, ma che si ripresenterà al prossimo abbandono. Questo è un momento che dà alla vita tutta la sua importanza. Lì, nel cuore della preghiera, vibra l'amore, gioiello che tutti noi possediamo, ma non fuggendo, abbandonando noi stessi. Niente è scontato, tutto è offerto. A poco a poco, non avendo più accesso ad esso, ci siamo convinti che non esistesse o che non esistesse più. Non ha opposto resistenza alla scienza, abbiamo scoperto, a questa nuova religione. Lo abbiamo anche ridicolizzato, perché non bastava dimenticarlo, bisognava denigrarlo. Ma chi lì si lascia catturare, lì si trasforma, lì metamorfosi. Rifiutare è morire lentamente. Muori per Lui. Per sempre.

La preghiera influenza tutta la vita restituendole la semplicità, il meraviglioso.

Qual è il problema con la Messa di Paolo VI?

Più di cinquant'anni fa, la Chiesa cattolica si è data una nuova Messa che ha rotto in un modo mai visto prima con la tradizione della Chiesa. I riformatori, tuttavia, non si aspettavano che la Messa tradizionale continuasse per loro. Erano addirittura convinti del contrario. abolizione della tradizionale messa romana ... Questi ultimi sono spesso accusati di essere facinorosi, nostalgici, cercatori di identità e, soprattutto, delitto di lesa maestà, di essere contro il Concilio Vaticano II, che non si separa più dal proprio spirito; questo spirito del Concilio di cui ci nutriamo senza mai qualificarlo veramente, come per quasi tutte le cose importanti. Nella Chiesa come altrove, i progressisti agiscono essenzializzando i loro oppositori per screditarli. La liturgia è il culmine e la fonte della vita della Chiesa, come ci ricorda l'ultimo Concilio, e la liturgia è tradizione. Per risolvere la crisi della liturgia che porta dentro di sé, la Chiesa dovrà riannodare i fili della tradizione danneggiata e ferita, anche e soprattutto se il tempo la spinge a non farlo.

Quale Vaticano II?

«Il nuovo Ordo Missae, se si considerano gli elementi nuovi, suscettibili di ben diversi apprezzamenti, che in esso sembrano sottintesi o sottintesi, si discosta in modo impressionante, nel suo insieme come nel dettaglio, dalla teologia della S. formulata nella XXII sessione del Concilio di Trento, che, fissando definitivamente i “canoni” del rito, ha innalzato una barriera invalicabile contro ogni eresia che potesse minare l'integrità del Mistero” 2 Card. Ottaviani, Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede rivolta a Paolo VI il 3 settembre 1969, eravamo a poche settimane dall'entrata in vigore della nuova messa. In un certo senso si concludeva così il Concilio Vaticano II che però aveva chiuso i battenti da quattro anni! Soffermiamoci un po' sulla figura del cardinale Alfredo Ottaviani: figlio di un fornaio, originario dei quartieri poveri di Roma, si rivelò un ottimo studente presso il pontificio seminario romano, e conseguì tre dottorati, in teologia, filosofia e diritto canonico... Segretario del Sant'Uffizio, poi proprefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, lavorò nei quattro anni precedenti il ​​Concilio alla preparazione dei temi da trattare e pronunciò l'habemus papam per l'elezione di Giovanni XXIII. Questo mese di ottobre 1962 vedrà cadere le maschere e appariranno posizioni, progressiste o moderniste. Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio, manifesterà un certo disprezzo per l'équipe curiale di Pio XII dichiarando: «La Sposa di Cristo preferisce ricorrere al rimedio della misericordia, piuttosto che brandire le armi della severità. Ritiene che, più che condannare, risponda meglio alle esigenze del nostro tempo, sottolineando la ricchezza della sua dottrina. » 3 C'è in questa frase una dicotomia che inaugura e prefigura tutto il Concilio Vaticano II: può esserci misericordia se non c'è condanna di un atto? Perché dovrebbe esserci un rimedio se prima non c'è ferita? Non abbiamo visto la volontà di mettere il peccato sotto il tappeto come polvere fastidiosa? Il tono usato dove la clemenza si afferma come autorità suprema diventerà il filo conduttore del Concilio Vaticano II. Pertanto è organizzata una fionda. I testi preparati dalla curia vengono respinti. In particolare il De fontibus rivelationis , sulle fonti della rivelazione, e il De Ecclesia . Ci voleva la maggioranza assoluta per ratificare questo rifiuto, Giovanni XXIII diede il suo assenso e si accontentò della maggioranza relativa. “Si compì così un vero e proprio colpo di stato, con il quale tutte le tendenze liberali, in procinto di organizzarsi in una 'maggioranza conciliare', strapparono il potere dottrinale alla Curia ereditata da Pio XII. » 4 . Da quel momento in poi, e poiché i testi di lavoro erano stati calpestati e scartati, si iniziò a lavorare sulla liturgia. Abbiamo pensato al soggetto unificante. I progressisti avevano un'agenda come al solito, cosa che i conservatori non hanno quasi mai. Il cardinale Ottaviani, il 30 ottobre 1962, prese la parola, non era ancora cieco e stava per mostrare la chiaroveggenza, chiese che il rito della Messa non fosse trattato «come un pezzo di stoffa che viene rimesso di moda secondo il fantasia di ogni generazione”. Al pubblico è sembrato che fosse troppo lungo nel suo sviluppo. È stato interrotto senza tener conto del suo grado. Il suo microfono è stato tagliato tra gli applausi di un gran numero di Padri. Potrebbe iniziare il Concilio Vaticano II.

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Lettera a Papa Francesco sulla Messa

Preambolo
Questa lettera a Papa Francesco è stata scritta per la prima volta per La Voie Romaine 1 per testimoniare la bellezza e l'efficacia del rito romano tradizionale e per testimoniare lo shock suscitato dal motu proprio, Traditionis custodes , pubblicato il 16 luglio 2021 da Papa Francesco.

Santo Padre,
mi stavo svegliando da un terribile incubo: ho sognato che Lei limitava l'accesso alla liturgia tradizionale, quindi ho pensato fosse importante rivelarle quanto la Messa di San Pio V abbia segnato la mia esistenza senza che io fossi il meno preparato per questo. Sai che è difficile per me scrivere Saint-Père, perché non ho avuto un padre. Ne ho uno, come tutti gli altri, ma non l'ho preso quando avrei dovuto. Quindi mi ha lasciato prima che nascessi. L'ho trovato dopo, ma capisci che non l'ho preso al momento giusto. Non ho passato i bei momenti che un bambino conosce con suo padre. Non lo conoscevo quando si presentava il bisogno, e il bisogno sorgeva in ogni momento da quando l'assenza lo creava Non avevo un padre che mi guidasse, come un tutore, a condividere le mie simpatie e le mie antipatie, a sposare le mie opinioni o influenzarli.

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Impara il canto gregoriano

Era il giugno 1985, a Pont-à-Mousson, al termine del simposio “La musica nella Chiesa oggi”. Maurice Fleuret - in pace sia la sua anima - magnifico direttore di musica e danza del ministro Jack Lang, ha preso la parola. Parola di fuoco. Di supplica; si può dire così, poiché lui stesso ha implorato. Lo citerò ad sensum, ma questa parola non l'ho mai dimenticata: è sua. Evocando ciò che la musica occidentale, dalle origini ai giorni nostri, doveva alla Chiesa, alla liturgia della Chiesa, ciò che doveva alla musica della Chiesa la musica di Monteverdi, di Bach, di Mozart, Beethoven, Stravinskij, Messiaen: tutto . Alla musica liturgica della Chiesa, la musica occidentale deve tutto, ha detto. E lui stesso, Maurice Fleuret, nella sua stessa vita di musicista, alla musica della Chiesa, cosa doveva? Tutto . Le doveva tutto, disse. E questa musica occidentale che doveva tutto alla Chiesa, alla liturgia della Chiesa, cosa doveva al canto gregoriano? Tutto , disse. Al canto gregoriano, tutta la musica occidentale, disse, doveva tutto . Ma lo Spirito del canto gregoriano, disse, questo spirito che non poteva immaginare cessasse di respirare, dove veniva respirato? Nella liturgia, dice. Ed è allora che ha supplicato la Chiesa...: Vi prego, ha esclamato, a beneficio degli ecclesiastici presenti, non lasciate allo Stato il monopolio del canto gregoriano. È fatto per la liturgia. Ed è nella liturgia che va praticata».

Anche se il gregoriano è cantato meno (quando il Vaticano II lo raccomandò come il canto maggiore della liturgia, figuriamoci), resta il tesoro d'Europa. Maurice Fleuret, allievo di Olivier Messiaen e ministro di Jack Lang, lo ha ricordato proprio sopra. Il gregoriano è stato omesso da coloro che lo hanno promulgato, quindi è difficile vederlo chiaramente. Chi si prende il tempo per andare in ritiro nei monasteri o chi, per gusto, ascolta il canto gregoriano sa che conquista credenti e non credenti. Il gregoriano risulta inclassificabile. Radicato e distante, potente e delicato, umile e solenne, fragile e vigoroso. Il fratello Toussaint, ex monaco dell'abbazia di Sainte Madeleine du Barroux, ora eremita, offre corsi gregoriani à la carte e qualunque sia il vostro livello. È un ottimo insegnante e lo posso testimoniare!

Il fratello Toussaint vi offre formule molto flessibili. Puoi seguire i corsi a distanza o venire in loco (l'eremo di Saint-Bède si trova tra Lione e Grenoble). Per il momento non può ancora ospitare nessuno, anche se a lungo termine vorrebbe costruire una piccola locanda per ricevere gli ospiti... Ci sono alloggi non molto lontani dall'eremo. Chiunque abbia conosciuto Barroux nei suoi esordi conosce il desiderio segreto ma dichiarato del fratello Toussaint di ricreare questa atmosfera unica e di ricevere alcuni ospiti per immergerli in una preghiera quasi perpetua. Nell'immediato è una buona idea iniziare imparando a cantare, il che dà a fratello Toussaint il tempo di trovare i fondi per aumentare la sua struttura (i patroni sono i benvenuti qui!). I prezzi diminuiscono se venite con più persone. Un'ora, tre giorni, tutte le formule sono possibili. Fratel Toussaint uscirà volentieri dal suo eremitismo per insegnarvi l'arte del canto gregoriano.

Informazioni: Impara il canto gregoriano con un monaco benedettino

Prenotazioni: https://frere-toussaint.reservio.com/

E il sito completo dove scoprire gli articoli del fratello Toussaint sull'eremitismo: https://www.ermites-saint-benoit.com/

La pompa di Clive Staples Lewis

"In primo luogo, devi sbarazzarti di quell'idea nauseabonda, frutto di un manifesto di complessi di inferiorità e di una mente mondana, che lo sfarzo, nelle giuste circostanze, abbia qualcosa in comune con la vanità o la sufficienza. Un celebrante che si avvicina solennemente all'altare per celebrare, una principessa guidata dal suo re in un minuetto nobile e delicato, un alto ufficiale che passa in rassegna le truppe onorate durante una parata, un maggiordomo in livrea che porta cibo sontuoso a un banchetto natalizio - tutti indossano abiti insoliti e muoversi con dignità calcolata e impeccabile. Ciò non significa che i loro gesti siano vani, anzi docili; i loro gesti obbediscono a un imperativo che presiede a ogni solennità. L'abitudine moderna di praticare cerimonie senza alcuna etichetta non è una prova di umiltà; piuttosto, dimostra l'incapacità del celebrante impotente di dimenticare se stesso nel servizio, e la sua disponibilità ad affrettarsi e rovinare il piacere proprio del rito di porre la bellezza al centro del mondo e renderla accessibile a lui. »

Libera traduzione dell'autore del blog.

Lauda Sion

Magnifica sequenza nella Messa del Corpus Domini, scritta da San Tommaso d'Aquino, questa poesia dogmatica loda la nuova e vera Sion, la Chiesa. Benoit XVI ha detto di questa Messa: “Sono testi che fanno vibrare le onde del cuore, mentre l'intelligenza, penetrando con stupore nel mistero, riconosce nell'Eucaristia la presenza viva e vera di Gesù, del suo Sacrificio d'amore che riconcilia noi al Padre e ci dà la salvezza”.

Loda, Sion, tuo salvatore, loda il tuo capo e il tuo pastore, con inni e cantici.
Per quanto puoi, osa cantarlo, perché supera ogni lode e non sei abbastanza per lodarlo.
Un tema speciale di lode ci viene proposto oggi: è il pane vivo e vivificante.
Il pane che Gesù, al pasto della Santa Comunione, diede veramente alla truppa dei dodici fratelli.
Sia la lode piena e sonora;
sia gioioso e bello il giubilo dell'anima. Perché oggi è la solennità che ricorda la prima istituzione di questa Cena.
A questa tavola del nuovo Re, la nuova Pasqua della nuova legge pone fine all'antica Pasqua.
Il vecchio rito è scacciato dal nuovo, l'ombra dalla verità;
la luce dissipa la notte. Ciò che Cristo fece nell'Ultima Cena, ordinò che fosse fatto in sua memoria.
Istruiti dai suoi sacri ordini, consacriamo il pane e il vino nell'ostia della salvezza.
È un dogma dato ai cristiani che il pane si fa carne e il vino si fa senso.
Ciò che non capisci o vedi, la fede viva lo attesta contro il corso degli eventi.
Sotto le varie apparenze, semplici segni e non-realtà, si nascondono realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda;
tuttavia Cristo resta intero sull'una e sull'altra specie. Da chi lo riceve, non è spezzato né spezzato né diviso, ma ricevuto intero.
Uno solo lo riceve, mille lo ricevono: ciascuno quanto gli altri;
preso come cibo, non viene distrutto. I buoni lo prendono, i cattivi lo prendono, ma per un destino diverso: vita o morte!
Morte per i malvagi, vita per i buoni: guarda quanto è diverso l'esito della stessa ripresa.
Se alla fine il sacramento è rotto, non ti turbare, ma ricorda che sotto ogni particella c'è tanto quanto le intere coperture.
Non si produce alcuna scissione della realtà: del solo segno c'è una rottura, e non diminuisce né lo stato né la grandezza della realtà significata.
Ecco il pane degli angeli che è diventato cibo per i viandanti: è proprio il pane dei bambini, che non va gettato al cane.
È preceduto da figure: l'immolazione di Isacco, l'agnello messo a parte per la pasqua, la manna data ai nostri padri.
Buon Pastore, vero pane, Gesù, abbi pietà di noi: nutrici, custodiscici, mostraci il vero bene nella terra dei vivi.
Tu che sai e tutto puoi, che sfami quaggiù i mortali che siamo: facci lassù tuoi commensali, coeredi e compagni dei santi cittadini del cielo.

Felicità di Pentecoste

Una delle gioie dell'ottava di Pentecoste sta nella recita del Veni, Sancte Spiritus , dopo la recita delle Victimae Paschali durante la settimana di Pasqua, la liturgia non smette mai di stupirci.

Vieni, Spirito Santo,

E manda dal cielo

Un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,

Vieni, donatore di doni,

Vieni, luce dei cuori.

Molto buono consolatore,

Dolce ospite dell'anima,

Dolce rinfresco.

Riposa al lavoro,

Sollievo nel caldo,

Consolazione in lacrime.

O luce benedetta,

Riempi fino al più intimo

I cuori dei tuoi fedeli.

Senza il tuo aiuto divino,

Non c'è niente nell'uomo,

Non è niente di innocente.

Lava via ciò che è sporco,


Innaffia ciò che è arido,

Guarisci ciò che è ferito.

Ammorbidisci ciò che è rigido,

Scalda ciò che è freddo,

Raddrizza ciò che non va.

Regala ai tuoi follower

che si fidano di te,

I sette doni sacri.

Dona il merito della virtù,

Fai il saluto finale,

Dona gioia eterna.

Così sia. Alleluia.

La preghiera dell'artigiano

Preghiera monastica del XII secolo
Insegnami, Signore, a usare il tempo che mi dedichi per lavorare bene…
Insegnami a unire fretta e lentezza, serenità e fervore, zelo e pace. Aiutami all'inizio del lavoro. Aiutami nel cuore dell'opera... E soprattutto colma tu stesso le lacune del mio lavoro: Signore, in tutto il lavoro delle mie mani lascia una grazia da te per parlare agli altri e un difetto da me per parlare a me stesso.

Conserva in me la speranza della perfezione, altrimenti mi perderò d'animo. Tienimi nell'impotenza della perfezione, altrimenti mi perderei nell'orgoglio...

Signore, non lasciarmi mai dimenticare che tutto il lavoro è vuoto tranne dove c'è amore...

Signore, insegnami a pregare con le mie mani, le mie braccia e tutte le mie forze. Ricordami che il lavoro delle mie mani è tuo e che spetta a me restituirtelo... Che se lo faccio per piacere agli altri, come il fiore dell'erba appassirò la sera. Ma se lo faccio per il bene, rimarrò nel bene. E il momento di fare bene e per la tua gloria è ora.

Amen

Dal tradizionale…

“Siamo nani sulle spalle dei giganti; vediamo più di loro e più lontano; non che il nostro sguardo sia penetrante, né alto di statura, ma siamo elevati, innalzati, dalla loro statura gigantesca”.

Questa citazione di Bernard de Chartres (XII secolo) che si trova nell'ultimo libro di Rémi Brague, Moderately Modern (Editions Flammarion), mi sembra sempre più brillante ogni volta che la leggo. La tradizione non è mai ciò che i tradizionalisti o i progressisti dicono che sia. La tradizione ignora decisamente le divisioni. Non conosce nemmeno il confronto. La tradizione si riduce a un profondo senso di equilibrio e serenità. Se ci immergiamo in lei, ci rendiamo subito conto che è inaccessibile alla maggior parte degli uomini, che pochi sono quelli di cui può essere orgogliosa, che sono sempre stati armati di prodigiosa umiltà. Ma tutti quelli che volevano metterla in gabbia perché odiavano la sua influenza o quelli che facevano lo stesso perché volevano proteggerla da se stessa e tenerla per sé, non capivano né vedevano niente. . La tradizione è inalterabile. Contrariamente alla credenza popolare, la sua distruzione è impossibile. Nel peggiore dei casi, è possibile dimenticarlo. E dimenticarlo non gli fa male. Sa come riservarsi. Non ha mai fretta, in preda al panico di fronte al suo tempo. Si prende il suo tempo, dal momento che lo accompagna. Se gli uomini la dimenticano, sa lasciare tracce qua e là per far riscoprire la sua esistenza quando sarà il momento.

È come l'acqua: nessuno può romperla o trattenerla.

Quasi non dovresti fare riferimento ad esso. Dovresti comportarti come se lei non fosse lì. Ce lo meritiamo così poco... Perde subito lucentezza quando ne parliamo, quando lo portiamo al nostro livello. La tradizione è intrinsecamente legata alla vita; in realtà sono uno. Vanno insieme.